“Vieni qui che non ti faccio niente”: il ricordo che fa sorridere un’intera generazione

Il mitico “vieni qui che non ti faccio niente”: un ricordo d’infanzia tra cucchiai di legno, sculacciate mancate e lezioni di vita anni ’60-’90.

18 novembre 2025 13:35
“Vieni qui che non ti faccio niente”: il ricordo che fa sorridere un’intera generazione -
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Quando bastava uno sguardo per capire tutto

Chi è cresciuto tra gli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 conosce perfettamente quella frase: “Vieni qui che non ti faccio niente!”. E sapeva altrettanto bene che, di solito, significava l’esatto contrario. Bastava sentire il tono di mamma o nonna per far scattare in automatico la fuga tattica verso la stanza più lontana della casa.
Il protagonista silenzioso di quei momenti era quasi sempre lui: il cucchiaio di legno, fedele compagno delle cucine italiane, usato più per “minaccia educativa” che per reale applicazione. Un gesto antico, quasi rituale, che oggi fa sorridere ma che un tempo rappresentava il modo più semplice di rimettere ordine tra capricci, marachelle e litigi tra fratelli.

Una scena familiare che tutti ricordano

Era il tempo in cui le case profumavano di sugo la domenica e il cucchiaio di legno era sempre appoggiato vicino alla pentola. Bastava una corsa in corridoio, una porta sbattuta o un “l’ho fatto ma non volevo” per vederlo alzarsi in aria in segno di avvertimento.
La famosa frase, poi, era un classico: detta con calma apparente, quasi con un sorriso, mentre noi bambini capivamo che era il momento di decidere se ubbidire o continuare la fuga disperata. Erano scene quotidiane, semplici, vissute nelle cucine di una volta, quelle piene di rumori, profumi e risate. Scene che appartengono a un’epoca in cui l’educazione era fatta di pazienza, rimproveri sinceri e affetto travestito da severità.

Un’educazione diversa, ma piena di calore

Oggi quel cucchiaio di legno, insieme allo scacciamosche intrecciato che spesso faceva parte del “kit educativo”, è diventato un vero simbolo di un passato che non esiste più. Guardarlo significa ricordare un mondo in cui non c’erano telefoni, tablet o schermi luminosi a tenerci fermi, ma c’erano cortili pieni di bambini, compiti fatti al tavolo della cucina e genitori che cercavano di farci crescere nel modo migliore che conoscevano.
Le loro erano “punizioni annunciate”, sì, ma sempre accompagnate da un abbraccio dopo dieci minuti, da una carezza o da una frase detta per consolarci. Un modo semplice, umano, spontaneo di insegnare regole e rispetto, molto diverso da quello di oggi, ma carico di un affetto autentico che non ha bisogno di essere spiegato.

Il sorriso di chi ricorda davvero

Rivedere oggi il cucchiaio o lo scacciamosche non fa pensare alla paura, ma alla nostalgia. A quando eravamo piccoli, a quando tutto sembrava enorme e importante, compresi i rimproveri.
Sono ricordi che ci fanno ridere, che ci scaldano il cuore e che ci fanno sentire parte di una grande generazione cresciuta tra semplicità, giochi all’aperto e famiglie che comunicavano guardandosi negli occhi.
Sono memorie che resistono, perché raccontano un’Italia che non c’è più ma che vive nei gesti, nelle frasi e negli oggetti che abbiamo condiviso tutti.

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