La favola mia: Renato Zero e la libertà di essere se stessi

“La favola mia” di Renato Zero: molto più di una canzone. È un inno alla libertà, un messaggio per chi ha scelto di vivere senza maschere.

A cura di Paolo Privitera
23 luglio 2025 06:00
La favola mia: Renato Zero e la libertà di essere se stessi -
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Renato Zero: voce, anima e coraggio

Renato Zero non è solo un cantautore: è un fenomeno culturale. Difficile incasellarlo, impossibile ignorarlo. Con il suo trucco vistoso, gli abiti teatrali e l’energia travolgente, ha saputo rompere le regole del costume italiano, affrontando con ironia, poesia e forza temi come l’identità, la diversità e l’accettazione di sé.

È con “La favola mia”, brano pubblicato nel 1973, che Renato Zero regala al pubblico una vera e propria dichiarazione d’esistenza, una “confessione cantata” che è diventata inno per generazioni di anime libere.

“La favola mia”: più di una canzone, una vita cantata

Il brano è una ballata teatrale, intensa, emozionante. Ogni parola è scelta con cura, ogni frase è un frammento di verità. Non è solo musica: è vita messa in scena con sincerità disarmante.

“Ma che spettacolo la vita mia!
 Tutto un equilibrio sopra la follia…”

Con questo verso, Renato mette a nudo l’instabilità, le cadute, ma anche la forza e la bellezza di chi non si arrende. La favola non è una finzione: è una verità raccontata con stile, ironia e poesia.

Un inno alla libertà e all’identità

In un’Italia ancora rigida e conformista, “La favola mia” fu un atto di ribellione dolce ma potentissima. Parlare di sé, senza vergogna, senza nascondersi, era qualcosa di rivoluzionario. Renato Zero lo fece con arte e dignità, regalando a chi si sentiva "fuori posto" un motivo per sentirsi meno solo.

La canzone è diventata un simbolo di libertà espressiva, un abbraccio per chi ha lottato (e lotta ancora) per il diritto di essere sé stesso. Un invito a non nascondersi, a vivere con orgoglio, a cantare la propria favola… senza chiedere permesso a nessuno.

L’effetto Zero: emozione collettiva e identità condivisa

Chi ha assistito a un concerto di Renato Zero lo sa: non è solo uno show, è una messa laica dell’emozione. Quando parte “La favola mia”, l’aria cambia. Le mani si alzano, le voci si uniscono. È un momento sacro.

Zero non canta solo la sua storia: canta quella di chiunque abbia amato, sofferto, sognato. E ogni nota diventa un pezzo di identità condivisa, un rito tra artista e pubblico, tra passato e presente.

La forza delle parole

“La favola mia” è scritta con un linguaggio semplice ma potente. Renato mescola realtà e sogno, dolore e leggerezza, teatralità e intimità. Non ha paura di mostrarsi fragile, e proprio per questo è incredibilmente forte.

“Mi presento…
 sono un artista,
 sono un amante,
 un clown,
 un acrobata…”

In queste parole c’è l’essenza di chi vive tante vite in una sola, di chi gioca con le maschere solo per potersi togliere, finalmente, la più pesante: quella dell’apparenza.

Perché ci emoziona ancora oggi

A distanza di cinquant’anni, “La favola mia” continua a commuovere. È una canzone senza tempo, perché parla di qualcosa che non cambia mai: il bisogno di sentirsi amati e accettati per ciò che si è.

Per molti giovani di allora – e anche di oggi – questa canzone è stata un rifugio sicuro, uno specchio, una spinta a uscire allo scoperto. Anche per chi non si riconosceva nel mondo che lo circondava, la voce di Zero era lì, a dire: “Non sei solo”.

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