Quando per abbassare il finestrino serviva il “gomito d’acciaio”: il ricordo di un gesto che oggi non esiste più
Ricordi i finestrini manuali? Quel gesto a manovella che richiedeva forza e pazienza è un simbolo delle auto anni ’60-’90, con una curiosità sorprendente.
Il rito della manovella: un gesto che tutti abbiamo fatto
Prima dell’elettronica, prima dei pulsanti, prima delle comodità moderne, c’era lei: la manovella del finestrino. Un oggetto semplice, cromato, che richiedeva un misto di pazienza, forza e “olio di gomito”. Chi ha guidato o viaggiato su un’auto tra gli anni ’60 e ’90 conosce bene quel movimento ripetuto, quasi ginnico, necessario per aprire un po’ d’aria d’estate o chiudere di corsa quando iniziava a piovere.
Era un gesto automatico: allungare il braccio, afferrare la rotella nera e via, a girare finché il vetro non scendeva o risaliva. Un’azione che sembrava banale, ma che spesso era una vera lotta — soprattutto se il vetro “grattava”, si incastrava o sembrava pesare come un macigno.
Il fascino delle auto di una volta
Le portiere di un tempo non erano solo porte: erano piccole opere d’ingegneria meccanica, fatte di acciaio pesante e componenti robusti. Le manovelle erano ovunque: sulle Fiat 124, sulle 127, sulle Uno, sulle Ritmo, sulle Renault 4, sulle Opel Kadett, sulle vecchie Ford Escort… ogni marchio aveva la sua forma, il suo stile, ma il meccanismo era sempre quello.
Nelle estati torride si sudava solo per abbassare il finestrino, d’inverno invece sembrava che tutto fosse più duro, come se la macchina stessa ti stesse mettendo alla prova. Chi sedeva dietro poi aveva un compito: “GIRA! APRI! CHIUDI!”, perché spesso l’unico finestrino ad andare giù bene era quello del guidatore.
Eppure oggi, ripensandoci, quel gesto ci strappa un sorriso. Era la normalità, era il nostro mondo.
Un gesto che unisce generazioni
Oggi basta premere un bottoncino per aprire il vetro, e a volte nemmeno quello, visto che molte auto moderne lo fanno da sole. Eppure, ogni volta che vediamo una manovella, ci torna alla mente un’intera epoca fatta di semplicità, profumo di sedili in stoffa, cinture che rientravano a scatto, radio a cassette e viaggi interminabili con i finestrini mezzo aperti.
Quel gesto — così fisico, così quotidiano, così “nostro” — è diventato un simbolo di un tempo che non tornerà. Un ricordo che fa sorridere chi lo ha vissuto e sorprende chi è nato dopo, quando i finestrini non richiedevano più la forza di un culturista per funzionare.
In fondo, le auto di una volta non erano solo mezzi di trasporto: erano compagne di vita, piene di difetti, ma anche di carattere. E quella piccola manovella ce lo ricorda ancora oggi.
Una curiosità sorprendente
Forse non tutti lo sanno, ma la prima vettura con alzavetri elettrici di serie fu la Packard del 1940, un’auto di lusso americana. Il sistema era talmente avanzato per l’epoca che funzionava idraulicamente, sfruttando la stessa pompa del tetto apribile.
In Europa, invece, i finestrini elettrici arrivarono in massa solo negli anni ’80, e all’inizio erano considerati quasi uno “sfizio da ricchi”. Ecco perché per decenni i finestrini manuali rimasero lo standard per tutti: economici, robusti, facili da riparare… e soprattutto obbligatori se volevi allenare il bicipite mentre guidavi!
Il bello è che molti modelli continuarono a montare la manovella sul retro anche quando davanti comparvero i primi comandi elettrici: un mezzo mondo elettronico, un mezzo mondo “alla vecchia maniera”.